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Le lucerne antropomorfe nella maiolica calatina

Le lucerne, fino a quando l'olio costituì il principale combustibile per far luce nelle abitazioni, furono comuni e indispensabili oggetti casalinghi: di bronzo o di rame su alto piede, nelle case signorili, di ceramica o, più spesso, di terracotta nelle case povere. Nelle campagne, poi, l'uso delle lucerne ad olio si protrasse a lungo nonostante la comparsa del lume a petrolio, venendo a cessare solo con l'avvento della luce elettrica.


La foggia più diffusa delle lucerne in terracotta era quella di una piccola vaschetta circolare col beccuccio all'orlo. Nel medioevo avvenne una prima trasformazione: alla vaschetta fu applicato un alto supporto, pur esso ricavato al tornio; ciò consentiva di tenere ben sollevata la fiammella e, al tempo stesso, dava posto nel fusto ad un'agevole presa, a mezzo di un'ansa, per il trasporto da un punto all'altro della casa. Tale struttura rimase invariata nel tempo, soprattutto nelle fabbriche della Sicilia occidentale, quali Palermo, Sciacca e Trapani.
Struttura assai diversa ebbero le lucerne in maiolica del secolo XVI nella Sicilia orientale, particolarmente nelle fabbriche di Caltagirone. Ivi la decorazione plastica, rifacendosi alla vecchia tradizione siceliota, s'aggiunge alla tornitura, integrandola ed arricchendola. Vennero così fuori le lucerne - antropomorfe.
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La figurina-lucerna nacque dalla trasformazione della lucerna medievale, rialzata su un alto piede e con un accenno di un paio d’occhi dipinti sui risvolti del beccuccio della vaschetta. E’ grazie al talento dei vari ceramisti nell’impreziosire con la decorazione plastica eleganti figurine muliebri che venne reso possibile l’ingresso negli ambienti signorili della ceramica, materiale per l’addietro ritenuto povero e quindi poco accetto: il passaggio delle lucerne in ceramica dalle classi povere a quelle abbienti divenne così irreversibile.


Le figurine-lucerne cinquecentesche in maiolica rappresentavano esclusivamente nobildonne in pose da matrona, con un braccio al fianco e l'altro alla cintura, riccamente ornate di collane e diademi: nel loro corpo era immerso un lungo lucignolo che usciva esternamente a tergo del diadema frontale. Non erano esenti da aspetti negativi: per il peso risultavano fastidiose nel trasloco; richiedevano notevole quantità d'olio quando era necessaria la presenza simultanea di più lucerne; ne era difficile l'alimentazione, dovendosi rifornire d'olio attraverso il medesimo foro, abbastanza stretto, da cui passava il lucignolo.


Nel Settecento la figurina-lucerna subisce alcune modifiche che rendono più agevole il trasloco e più economico l'utilizzo. Scompare il pesante e capiente serbatoio e viene usata per contenere l'olio solo una piccola vaschetta ricavata nella testina della figurina, vuota e senza fondo, con alla base, esternamente, un bordo rialzato per la raccolta d'olio eccedente o straripante dall'alto. Inoltre viene ampliato il repertorio dei soggetti: oltre alle damine, riccamente agghindate, compaiono gentiluomini in tuba, monaci, preti, briganti, gendarmi, ma anche personaggi storici e tipi caratteristici tratti dall'ambiente e dalla vita comune.
L'uso di queste lucerne con i più svariati soggetti si diffuse ben presto in tutta l'isola, grazie alla ricca policromia usata sui luccicanti smalti che consentì loro d'entrare nelle case nobiliari e nei salotti, sostituendo pienamente le lucerne metalliche, al confronto, anche se più costose, cromaticamente monotone e decorativamente squallide.


Fiorente per la produzione di lucerne - antropomorfe fu l'Ottocento, periodo in cui operò un abilissimo stovigliaio, inesauribile creatore di caratteristici tipi che ebbero larga richiesta nei mercati della Sicilia orientale: Giacomo Failla.
È difficile conoscere oggi l'intera serie dei soggetti delle figurine-lucerne prodotte dall'artigianato calatino. La più ricercata lucerna antropomorfa era ed è la damina con ventaglio e veste a campana tutta merlettata a zone, che nel Settecento e nell'Ottocento sostituì l'austera matrona del Cinquecento e del Seicento. A differenza di questa, decorata in blu con qualche tocco di giallo, quella settecentesca colpisce per la vivace policromia, costituendo una delle più caratteristiche opere uscite dalle mani del maiolicato calatino. È forse per questo che oggi, pur avendo perduto la sua funzione pratica, se ne fa larga richiesta, ed i maestri ceramisti di Caltagirone la includono fra i principali oggetti del loro repertorio produttivo.

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